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IL PARASSITA

In Italia la leishmaniosi è causata dal protozoo Leishmania infantum, trasmesso tramite la puntura di artropodi del genere Phlebotomus. Le femmine dei flebotomi infette inoculano il protozoo che viene fagocitato dai macrofagi del derma del nuovo ospite, per poi localizzarsi nella milza, del midollo osseo, dei linfonodi, degli interstizi e, in generale, di tutti i distretti dove sono presenti cellule del sistema reticoloendoteliale. 

Esistono altre modalità di infezione da Leishmania, come le trasfusioni di sangue, l’accoppiamento e la via verticale, vie di trasmissione da tenere in considerazione in presenza di cani donatori, maschi riproduttori, e cagne gravide infette o malate. 

In Italia la malattia è endemica in tutte le aree insulari e centro-meridionali ma foci autoctoni sono presenti anche nel Nord, ad esempio in Piemonte, Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia.
Il periodo dell’anno in cui i flebotomi sono maggiormente attivi e, quindi, in cui i cani sono a rischio di infezione, va da maggio a settembre/ottobre mentre, durante l’arco della giornata, i vettori hanno una tipica attività crepuscolare e notturna. 

SINTOMI

La leishmaniosi canina è una malattia cronica sistemica caratterizzata da sintomatologia varia. L’ampio spettro di manifestazioni cliniche è dovuto alla complessa interazione tra il parassita e le difese immunitarie dell’ospite. Il protozoo stimola l’attivazione delle difese immunitarie umorali e cellulo-mediate, ma la resistenza di un cane alla malattia è mediata dalla risposta immunitaria cellulo-mediata (Th1). Al contrario, i cani con malattia conclamata mostrano inizialmente un tipo di risposta simile a quella dei cani resistenti, la quale viene poi inibita nel tempo, con una risposta di tipo misto (Th1/Th2), a prevalenza umorale (Th2). Questa risposta immunitaria, tipicamente caratterizzata da livelli elevati di anticorpi, è il principale fattore nella patogenesi della malattia, in quanto esiste una correlazione diretta tra sintomatologia, titoli anticorpali e aumento della carica parassitaria nei tessuti.
Nelle forme tipiche, i segni clinici più frequenti possono interessare alcuni distretti (lesioni cutanee, oculari, onicogrifosi, zoppia, vomito e/o diarrea) oppure avere carattere sistemico, con anoressia o disoressia, letargia, perdita di peso, epistassi, linfoadenomegalia, splenomegalia, intolleranza all’esercizio fisico, atrofia dei muscoli temporali, poliuria/polidipsia, cachessia. 

I segni cutanei sono molto importanti sia per la frequenza e la variabilità con cui si manifestano, sia perché spesso sono il principale motivo per cui il paziente è portato a visita dal proprietario. I riscontri clinici più comuni sono alopecia simmetrica non pruriginosa, dermatite ulcerativa e/o desquamativa e/o nodulare, presenza di pustole sterili, dermatite papulare e onicogrifosi.

Il coinvolgimento renale è molto frequente ed  è dovuto alla deposizione di immunocomplessi circolanti a livello glomerulare. Il paziente può mostrare da proteinuria fino a sindrome uremica.

DIAGNOSI

La grande variabilità ed aspecificità dei segni clinici rende la diagnosi di sospetto di Leishamaniosi  complessa. L’anamnesi geografica riveste un punto cardine, così come quella farmacologica, cioè se l’animale ha ricevuto o meno terapia antiparassitaria specifica e se ha ricevuto terapie o soffre di patologie concomitanti in grado di creare squilibri immunitari o immunodepressione, favorendo così l’insorgenza della malattia. 

Esistono diversi test (ELISA, IFAT, PCR) per identificare i cani non infetti da quelli esposti, ma che non hanno ancora sviluppato segni clinici. La corretta classificazione del paziente è fondamentale per intraprendere la terapia adeguata non solo per la salute dell’animale ma anche per il loro ruolo di reservoir e di potenziale fonte di infezione per i flebotomi. 

Gli esami ematobiochimici mostrano spesso anemia normocitica normocromica non rigenerativa e piastrinopenia, accompagnate da leucopenia o leucocitosi. E’ classicamente presente un’alterazione a carico delle proteine sieriche che, in genere, tendono ad essere aumentate, con inversione del rapporto albumina/globulina (A/G). Nei citologici linfonodali o di sangue midollare o tessutali, è infine possibile identificare la presenza del parassita nella forma di amastigote all’interno dei macrofagi.

TERAPIA e PREVENZIONE

Prima di iniziare la terapia è importante inquadrare lo stadio clinico della malattia per scegliere il trattamento più opportuno e prevedere eventuali progressioni verso quadri più gravi o irreversibili, tenendo conto della difficoltà di schematizzazione di una patologia così complessa. Gli obiettivi principali sono la riduzione della carica parassitaria del paziente, il controllo dei danni causati dal parassita, il ripristino di un’adeguata risposta immunitaria, la stabilizzazione nel tempo dei risultati ottenuti e il trattamento delle eventuali recidive. 

La terapia di scelta è l’impiego combinato di antimoniato di N-metilglucamina (100 mg/kg SC sid o 50 mg/kg SC bid) per 4-8 settimane e allopurinolo (10 mg/kg per os bid) per 6-12 mesi. Una valida alternativa è l’associazione di allopurinolo agli stessi dosaggi e per gli stessi periodi con la miltefosina (2 mg/kg per os sid) per 4 settimane. 

Infine, in Italia e in alcuni Paesi europei, il domperidone, antagonista dei recettori D2 della dopamina, è utilizzabile come farmaco complementare (e mai in monoterapia) nella terapia o nella prevenzione, sempre in associazione alla profilassi antivettoriale. Il domperidone è in grado di incrementare la prolattinemia, che di conseguenza stimola la risposta immunitaria cellulo-mediata. 

Fondamentale è il monitoraggio dei cani post-terapia, che clinicamente risultano sani ma ancora possibili serbatoi della malattia. 

La prevenzione si basa sull’uso di presidi in grado di prevenire la puntura dei flebotomi e sulla somministrazione di vaccini. 

I piretroidi esercitano effetto eccito-repellente (definito comunemente repellente), a cui si associa l’azione insetticida, sui flebotomi che riescono a poggiarsi sul cane, con con- seguente impossibilità di effettuare il pasto di sangue (effetto anti-feeding). Esistono diverse formulazioni (collari, spot on, spray) contenenti piretroidi sintetici, la cui attività nei confronti dei flebotomi è elevata (> 90%) e dalla durata variabile. L’efficacia della profilassi antivettoriale può essere rafforzata tramite la risposta immunitaria indotta dall’uso di vaccini che, tuttavia, non rientrano nei vaccini “core” e il cui impiego deve prendere in considerazione caso per caso.



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